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domenica 29 aprile 2012

Il «me ne frego» di Alemanno

STORIE DI PRIVATIZZAZIONI/2

di Sandro Medici

Non è passato neanche un anno e i tentativi di contrastare, fino ad annullarli, i risultati del referendum sull'acqua pubblica si susseguono. A cominciare dall'indecorosa omissione governativa sulla quota d'investimento che continua a gravare sulle bollette. Ma la prova generale del definitivo affossamento di quel voto popolare è in corso in questi giorni a Roma. Dove un sindaco ormai impresentabile e con le valigie in mano vuole piazzare sul mercato l'azienda municipale di gestione idrica della capitale.
È in discussione in Campidoglio una delibera che stabilisce la vendita del 21% del pacchetto azionario comunale, attualmente al 51% dell'Acea che peraltro, con le sue ramificazioni in Italia e all'estero, è la più importante del Paese. Operazione che con sconcertante disinvoltura confinerebbe il Comune di Roma a un ruolo di minoranza, lasciando che i privati raggiungano il 70%, dunque il pieno controllo dell'azienda. E così l'acqua che l'Acea raccoglie nel cuore dell'Appennino centrale, tra le vallate umbre e gli altopiani sabini, la stessa acqua che i romani imbrigliavano nelle condotte e facevano scorrere nei maestosi acquedotti, ebbene, quell'acqua, considerata tra le più pure e saporose d'Italia, non sarebbe più risorsa naturale pubblica, ma prodotto da commercializzare e distribuire a pagamento.

E chissenenfrega se più di 26 milioni di italiani (1.200.000 a Roma) hanno detto il contrario, e cioè che l'acqua è un bene comune inalienabile e indisponibile a essere trasformato in merce. Difficile imbattersi in qualcosa di più sfacciato e sprezzante. È un furto, un furto di democrazia. Ci si potrebbe chiedere: ma com'è possibile che l'esito di un referendum, cioè uno dei provvedimenti di legge più solenni perché direttamente emanato attraverso la volontà popolare, non venga minimamente tenuto in considerazione, anzi sbrigativamente contraddetto?
Il sindaco Alemanno fa sapere che le casse comunali sono vuote e che se non si vende l'Acea, in autunno non si potranno pagare stipendi e forniture. Si dichiara prigioniero politico delle avverse circostanze finanziarie, vittima della stretta sui trasferimenti agli enti locali. E con quello zelo che spesso connota i mediocri, invece di protestare e ribellarsi, invece di provare a piegare e manovrare meglio il pur esiguo bilancio, si allinea e obbedisce.
È lo stesso governo che spinge Comuni, Province e Regioni a vendere e piazzare tutto il patrimonio pubblico: non soltanto le aziende di servizio, ma anche palazzi, castelli e immobili d'ogni tipo, isole e bagnasciuga, caserme e poligoni, beni culturali e siti archeologici, monti, valli, colline, campagne e perfino i nostri mari. È Mario Monti in persona a insistere: con l'entusiasmo subalterno di chi vuol diventare il primo della classe alla scuola di Francoforte. Una politica sciagurata: massimizza i danni economici e azzera i vantaggi sociali. S'impoverisce il Paese, cioè noi tutti e tutte, s'indebolisce la funzione pubblica; solo così il capitale finanziario può finalmente risollevarsi dalla sua crisi, libero di imperversare con le sue scorribande speculative. È un processo che sembra inarrestabile, che incontra cospicue complicità nei governi e nei parlamenti di mezza Europa, a destra (ovviamente) ma anche (desolatamente) a sinistra. Tranne qualche gastrite inquieta, qualche contrita cefalea.
A Roma questo furore liquidatorio è perfino più brutale. I decreti del governo fissano infatti al 2015 il limite entro cui procedere alle dismissioni delle municipalizzate. Ma la destra romana ha invece deciso di anticipare la stagione dei saldi: aziende comunali tutte all'asta. Si comincia con l'Acea, poi toccherà all'Atac (trasporti) e infine all'Ama (rifiuti). L'impressione tuttavia è che non sarà per niente facile svendere l'acqua dei romani. In città cresce la consapevolezza e cominciano a rianimarsi i tanti comitati referendari, così come le associazioni ambientaliste e gli stessi partiti di sinistra. Si annunciano diverse iniziative e anche qualche "sorpresa". In Campidoglio ci si prepara a un confronto politico non proprio rituale, i Municipi di sinistra si stanno organizzando. E sabato prossimo si torna in piazza: giù le mani dal nasone.

Fonte Il Manifesto  26/04/2012

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